IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla eccezione sollevata dal p.m. di incostituzionalita' dell'art. 513, comma 1 e 2 c.p.p., come sostituito dall'art. 1 della legge 7 agosto 1997, n. 267, per violazione degli artt. 3, 101, secondo comma, e 112 della Costituzione; Sentiti i difensori degli imputati, i quali si sono rimessi al giudizio del tribunale; Premesso che nel corso del dibattimento alcuni imputati ammessi a deporre ai sensi dell'art. 210 c.p.p., si sono avvalsi della facolta' di non rispondere e non vi e' stato accordo di tutte le parti affinche' fosse data lettura delle dichiarazioni rese dagli stessi nel corso delle indagini preliminari; Osserva che con riferimento al comma 1 dell'art. 513 c.p.p. la sollevata eccezione di incostituzionalita' non e' rilevante nel presente procedimento in quanto nessuno degli imputati si e' rifiutato di sottoporsi all'esame; essa e' rilevante, invece, con riferimento al comma 2 dell'art. 513 c.p.p., in quanto la nuova disposizione legislativa impedisce di acquisire al fascicolo del dibattimento (e, quindi, ne determina la inutilizzabilita' ai fini della decisione) dei verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da persone citate ai sensi dell'art. 210 c.p.p., le quali si avvalgono della facolta' loro concessa di non rispondere; quanto alla non manifesta infondatezza il p.m. ha sostenuto che la nuova formulazione dell'art. 513 c.p.p. presenta gli stessi vizi di incostituzionalita' che avevano indotto la Corte costituzionale a dichiarare - con sentenza n. 254 del 3 giugno 1992 - la illegittimita' della mancata previsione della possibilita' da parte del giudice di disporre la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210 c.p.p., qualora si fossero avvalese della facolta' di non rispondere, in quanto in violazione dei principi della non dispersione della prova, della non disponibilita' della prova e della indisponibilita' della res iudicanda. Secondo il p.m. la Corte costituzionale aveva affermato che il fine primario e ineludibile del processo penale e' la ricerca della verita', sancito espressamente dalle legge-delega e connesso al principio costituzionale della obbligatorieta' dell'azione penale, il cui logico corollario e' la indisponibilita' delle res iudicanda e, conseguentemente, la indisponibilita' della prova. Invero il sistema processuale vigente non e' un sistema accusatorio puro in cui l'accertamento dei fatti e' rimesso alla disponbilita' delle parti, ma e' un sistema misto nel quale il principio dispositivo deve comunque cedere il passo dinanzi al fine supremo dell'accertamento della verita' sostanziale e il giudice ha il potere-dovere di accertare la verita', anche sostituendosi completamente alle parti processuali rimaste inerti, con un intervento integrativo che serve a realizzare la "non eludibile esigenza di giudicare conoscendo". Secondo il p.m. la nuova formulazione dell'art. 513, comma 2 c.p.p. viola i principi enunciati dalla Consulta: infatti, il mero esercizio della facolta' di non rispondere da parte di un soggetto estraneo al processo (in quanto la sua posizione e' stata separata per ragioni contingenti) sottrae al giudice parte spesso rilevante dell'oggetto del giudizio, lo esautora del suo potere-dovere di accertare la verita' sostanziale e lo costringe, conseguentemente, a giudicare senza conoscere. Premesso che l'esercizio del diritto di astenersi dal rendere dichiarazioni costituisce una oggettiva e non prevedibile impossibilita' di ripetizione dell'atto dichiarativo, secono il p.m. non vi e' ragione per sottoporre le dichiarazioni rese da un imputato in procedimento connesso, che in dibattimento si avvale della facolta' di non rispondere, a un regime diverso da quello vigente per tutti gli atti irripetibili. Una tale previsione si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, introducendo nell'ordinamento una irragionevole disparita' di trattamento tra l'imputato a cui carico siano state raccolte fonti di prova irripetibili, ma utilizzabili in dibattimento, e imputato nei cui confronti le prove raccolte sono costituite dalle dichiarazioni rese da imputato di procedimento connesso, irripetibili per l'esercizio della facolta' di non rispondere e non utilizzabili in assenza di consenso delle parti. Invero la previsione di un consenso (utopistico da parte dell'imputato dinanzi a dichiarazioni accusatorie rese da altro soggetto) per la utilizzabilita' o meno delle dichiarazioni viola i principi costituzionali della obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112 della Costituzione) e della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, secondo comma, della Costituzione). La giustificazione per la quale la nuova disciplina si e' resa necessaria per tutelare il principio di oralita' del processo e la parita' delle parti processuali, garantendo il contraddittorio e il diritto di difesa, non puo' essere condivisa in quanto in pratica si viene a sortire l'effetto opposto, cioe' quello di sottrarre completamente al contraddittorio una persona che nel corso delle indagini preliminari ha reso dichiarazioni pur potendosi avvalere della facolta' di non rispondere. Se la ratio fosse stata quella, il legislatore avrebbe dovuto modificare l'intero impianto codicistico relativamente agli atti irripetibili e alla loro conoscibilita'-utilizzabilita' da parte del giudice. Infatti e' previsto che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da persone informate possano essere acquisite e utilizzate nel dibattimento ex art. 500, comma 4, c.p.p. qualora le stesse rifiutino ovvero omettano in tutto o in parte di rispondere su circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni, peraltro raccoltre in totale assenza di contraddittorio. E' evidente la irragionevolezza della nuova disciplina e la sua carica eversiva del principio costituzionale di uguaglianza formale e sostanzile, il quale impone di non trattare in modo diverso persone che si trovano in situazioni omogenee; Rilevato che appare manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalita' con riferimento agli artt. 101, comma 2, e 112 della Costituzione, in quanto il legislatore nel comma 2 dell'art. 513 c.p.p. non ha previsto in tutti i casi l'obbligo dell'accordo delle parti per la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni gia' rese, ma solamente nel caso in cui il dichiarante si avvalga della facolta' di non rispondere ed inoltre al comma 3 ha previsto che tale procedura non si applica nel caso in cui le dichiarazioni siano state assunte con la forma dell'incidente probatorio ex art. 392 c.p.p., trovando applicazione in tal caso le disposizioni di cui all'art. 511 c.p.p. Si tratta, pertanto, di una scelta nella tecnica delle indagini preliminari sulla quale il giudice del dibattimento non ha e non deve avere alcun sindacato, cosi' come per gli altri atti di indagine preliminare che non trasmigrano nel fascicolo per il dibattimento senza specifica richiesta delle parti: appare, invece, affetta da irragionevolezza e, quindi, contraria al contenuto dell'art. 3 della Costituzione, la previsione contenuta nell'ambito dello stesso comma 2 dell'art. 513 c.p.p., secondo il quale - senza alcuna giustificazione logica - vengono trattate in modo differente due situazioni sostanzialmente identiche. Infatti e' previsto che, nel caso in cui non e' possibile ottenere la presenza del dichiarante in dibattimento ovvero non e' possibile procedere all'esame con le garanzie del contraddittorio, si applica la fattispecie di cui all'art. 512 c.p.p. (lettura di atti per i quali e' divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili), se la impossibilita' dipende da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Orbene, poiche' con sentenza n. 254/1992 la Corte costituzionale ha equiparato (dichiarando costituzionalmente illegittima la mancata previsione nell'art. 513 c.p.p. della ipotesi) alla impossibilita' di procedere all'esame il caso di colui che si avvale della facolta' di non rispondere, non e' possibile cogliere una qualsiasi motivazione per la previsione di un trattamento differenziato, dal momento che l'esercizio del diritto di non rispondere da parte del dichiarante in sede dibattimentale costituisce fatto o circostanza certamente imprevedibile, anche in considerazione del fatto che al momento della dichiarazione costui non i e' avvalso di tale facolta'.